L'opinione di Paolo Piccirilli


Privatamente e per altre ragioni

   Colui che pensasse che esista "l'autore" sbaglia di grosso. L'autore non esiste. Non esiste così come non esiste il "padre" dei propri figli ché altrimenti, se vi fosse un padre, sarebbe di sicuro colpevole; esistono solamente figli erranti alla deriva. Tant'è vero che detto "padre" ne sa meno di chiunque altro riguardo i propri figli, un po' come accade ai testimoni oculari.
   Un compositore e quindi un autore di musiche non è altro che un manipolatore di note che sono già scritte lì, sul tavolo, come potete notare e lavorare alla composizione è un atto che, non  avendo nulla a che fare con il sociale, comunque giunge e si conclude con la creazione di un artefatto di suoni, un artificio di dubbia e insieme fatale destinazione.
   Il vero compositore non è contemporaneo agli eventi né ai personaggi a lui simili; nel suo non-esistere non ha tempo e spazio; quello vero presuppone e mira all'assenza di pubblico, eccetto in misura provvisoria, non di rado alla sua distruzione ed a quella delle sue stesse creature.
   Uno dei più grandi compositori della Storia della Musica, Johann Sebastian Bach sapeva benissimo di non essere appunto contemporaneo a nulla e a nessuno.
   Di conseguenza, il professore, il cantautore "impegnato nel sociale" non può né potrà mai essere definito musicista che, nella sola accezione possibile, vuol dire "compositore e maestro di Musica". In effetti la differenza sostanziale tra il Professore ed il Maestro è che mentre il Professore ti insegna le cose che sa, che ha studiato, che conosce per mezzo dei libri, quasi fosse anch'egli un libro da consultare, o meglio un deposito parassitario di avvenimenti storici, dal Maestro invece si possono apprendere le cose che non sa, che ignora totalmente e la sua maniera di non sapere è profondamente specifica.
        Sappiamo però che molti che si qualificano come musicisti sono dei personaggi famosi, grazie a tanti fattori: mezzi di informazione gestiti dagli amici degli amici, spot promozionali, mercato, pompaggi vari e promozioni da parte di critici che, nella quasi totalità dei casi, non hanno il coraggio di dire la verità, ecco dire la verità.
   La verità, in verità, va sempre detta; addirittura quando vuoi ingannare qualcuno devi dire la verità.
   Nell'arte non c'è via di mezzo o via di scampo: una creazione artistica o è bella o non lo è. Chiunque al mondo, nel passato nel presente e nel futuro andasse per esempio a visitare nella Basilica di San Pietro in Vaticano "La Pietà" di Michelangelo non può né potrà mai affermare che è brutta. Siamo tutti d'accordo; ma se un tale proclamato artista scolpisce, dipinge, scrive un'opera bruttissima ed una schiera di critici ne fa oggetto di ammirazione con trattati di diecimila pagine piene di quelle frasi cretine quali: "qui l'artista ha voluto dare un senso ecc..." "qua  ha subito gli influssi di..." "lì si possono notare le reminiscenze di...", ditemi chi avrebbe il coraggio di rivoluzionare il tutto, chi avrebbe l'ardire di dire che detta opera fa letteralmente schifo? Nessuno. Questa in sintesi la ragione per cui, nelle democrazie, le società di massa sono perennemente ingannate ed il falso ha prevalenza sul vero.
    E' ovvio però che non posso esprimere una opinione su di me e sulla mia musica; attenderò semmai le vostre.
   Personalmente, a parte qualche pubblicazione, non sono mai stato messo alla prova da gente del potere discografico; non mi è stato mai commissionato nulla e la cosa non mi preoccupa affatto; certamente mi infastidisco un po' quando ascolto, per esempio in televisione, musiche e canzoni banali, considerando che c'è gente fortunata che si dedica da una vita a fare solo quel mestiere e produce solo delle banalità. E' un fastidio però superabilissimo che si toglie con un dito sul telecomando; faccio eh! eh! quando mi capita di ascoltare della musicaccia ma, ripeto, è una molestia che equivale a quella di una mosca d'estate nella stanza.
    Parlerò ora brevemente, senza più divagare, - anche se amo le  divagazioni - della collaborazione più che decennale con Pasquale Panella (
traccefresche),  scrittore teatrale e genio della parola con il quale non abbiamo mai contato e catalogato i brani fatti di parole e musica, e sottolineo brani, non canzoni, che insieme abbiamo composto. Non è interessante forse come nascevano quei brani, ma ve lo voglio spiegare: da un foglio bianco veniva subito fuori un testo ed io, all'istante, ci mettevo la musica. A volte viceversa. Tutto qui.

 

Pasquale Panella (detto Lino) mentre scrive una canzone, a Ostia (quartiere di Roma)


   Vorrei infine dedicare questo spazio finale ad un altro amico musicista, compositore, chitarrista, con un vasto repertorio alle spalle, ma la parola dedica non mi piace; diciamo che è passione alla sua musica.
   Detesto le opere ed i libri, per esempio, con tanto di dedica. Vi invito tutti a diffidare di quelle opere dove spudoratamente all'intestazione, alle prime pagine, sulle copertine vi è impressa e sottoscritta quella metaforica cerimonia di consacrazione a qualcuno: la dedica. Quando ascolterete la frase in onore di... ; quando troverete alla memoria di ...; quando si consacra, si offre, si istituisce, si dedica, ecco si dedica, allora voi dovrete uscire dalla cerimonia, anzi l'ideale è non parteciparvi, mai. Nei libri poi e nelle opere in genere, ma specialmente nei libri, la dedica ha un senso e dà a tutto il libro un senso ed è proprio quello il guaio: le cose che hanno senso non hanno valore artistico. Il senso e, peggio ancora, il buon senso sono nemiche dell'Arte.
   Spesso mi accade, devo dire con piacere, sfogliare in libreria nuovi testi che hanno tutta l'aria di essere interessanti - e lo stesso vale per quei CD ben presentati - e, trovata la dedica in prima pagina,  è veramente bello poter dire "non lo acquisto, non lo leggo perché non mi piace". Oh! Per l'amor del cielo! Non ce l'ho con nessuno, ma sorrido e mi diverto quando trovo per esempio le dediche: A mia madre; oppure Alle mie figlie Tamara e Susanna; oppure ancora Al grande fratello, compagno di  ventura...; ma non sarebbe meglio dire al lettore o all'ascoltatore A te e tuo nonno?  

   C'è sicuramente qualche eccezione, quale ad esempio lo splendido Requiem  di Giuseppe Verdi che i posteri, o chi non saprei, dicono sia stato scritto per la morte di Manzoni, ma è impropriamente chiamata da me eccezione, perché la Musica, come la Letteratura, predilige la morte quale figura retorica inevitabile ed insostituibile.
   Quello che mi accingo a fare in queste pagine WEB non è dunque una dedica ma un dichiarare pubblicamente la passione alla Musica di Gianfranco Molle, chitarrista e compositore di opere conosciute a pochi ma di straordinaria semplicità e bellezza. Il suo stile caldo, con suoni Blues e Country, nel suonare la chitarra arpeggiata e pizzicata per lo più con le dita della mano destra e di rado a plettro, lo avvicina di molto all'americano James Taylor conosciuto in tutto il mondo.
   Egli fino ad oggi non ha avuto fortuna e non si è prestato ai giochi di potere; diciamo anche che, come me, vive in un paese - che qualche illuso si ostina a chiamare città - abbandonato a se stesso, un luogo che, pur trovandosi ad un centinaio di chilometri da Roma, offre il niente, quel niente che viene dal cuore, a chi volesse intraprendere strade diverse.
   Gianfranco ha girato l'Europa con la chitarra e le sue canzoni.  Spesso l'ho accompagnato, ho suonato con lui ed il suo gruppo di allora e vi dico che dovunque è andato ha ricevuto applausi e successo di pubblico.
   Il nome Gianfranco Molle  è molto noto nel mondo degli Esperantisti e la maggior parte di quei concerti si tennero dagli anni ottanta in poi in occasione di convegni e incontri di giovani di tutto il mondo che parlano e praticano l'Esperanto.
Di sicuro è un Personaggio, come potete ammirare nella foto qui sotto.






  

 Ha creato, curato, gestito il sito che state visitando ed è,purtroppo, scomparso l' 8 dicembre 2018 in Roma.

 

Paolo Piccirilli

 

 

 

L'OPINIONE di Luca Di Ruzza


L'ingegno di categoria superiore di un musicista-compositore ed un simmetrico magistero di chitarrista fuori dalla media concorrono a istituire un esempio di autarchia in questo gergo.
   Il talento artistico di Paolo Piccirilli risulta sostanzialmente inesplorato al sistema ordinario di consumo medianico musicale e discografico e di strumentale divulgazione commerciale.
   Gli intenti di tale raffinatissimo musicista non si accampano su praterie di velleitari progetti di élite fini a se stessi, ma è d'altronde imbarazzante disconoscere che le sue ideazioni siano materia speculativa per autentici intenditori.
   Ad un'ottica critico-musicale e critico-artistica, il connotato principe dell'estetica piccirilliana sarebbe banalmente percepibile come eclettismo, con tutto il corredo di valenze negative che il vocabolo evoca, prime fra tutte l'abulìa di originalità  ed il maniacale e pedantesco culto dell'emulazione, se non la masochistica, castrante e reoconfessa resa alla volontà di clonazione di mitologici stereotipi.
   Si parlerà altresì, a proposito del Piccirilli, di eclettismo, allo scopo di una migliore comunicabilità  e di una migliore intesa con chi legga e non conosca la Musica dell'Autore in questione; e si tracceranno cenni ed analogie con miti canori e con musicisti attuali di indiscussa genialità direttamente commensurabile alla loro popolarità sulla scena internazionale artistica e dello spettacolo, per rendere con una forzatura intellegibile a chi legga, attraverso una trattazione letteraria che disponga di mezzi espressivi semiotici inerenti alla sfera logica e semantica del pensiero, una competenza sensoriale di natura aliena, endogena ed emozionale, che solo l'estasi della Musica ha il potere di far percepire e provare a chi ne sia investito.
   Si intenda dunque un eclettismo attivo, creativo, che a pari condizioni date, assurge ad un analogo esito, sebbene attraverso esperienze personali uniche e irripetibili, sia in Piccirilli che in quei suddetti autori di statura internazionale celebri nell'industria del disco, dove per pari condizioni ci si riferisca alla cornice culturale, storica e sociale dell'ultimo trentennio all'interno del quale i nostri musicisti termini di paragone si sono trovati a vivere, a crescere, ed alla loro sostanziale educazione all'ascolto dei generi musicali moderni ed attuali, alla loro formazione ed alla loro maturazione di tale suscettibilità alla scienza dei suoni, all'arte di gestirla e di manometterla, alla magia di incantare l'anima grazie ad essa.
   Nella perizia euristica e fonodianoetica del Piccirilli, è riscontrabile un coefficiente di alchimìe di esperienze blues, jazz, rock, soul, swing, ed i toni sono talora soft, tenui e suadenti, ora incalzanti, hard e ritmici. Tra queste variabili si staglia la costante del melos, cioè della deliziosa dolcezza conturbante che rapisce l'anima, e che avvalendoci di una similitudine, come premesso, dà la stessa sensazione che la soul-music dei bassifondi neri dell'America degli States si prefiggeva di inventare e sollecitare nella sensibilità umana, orgogliosa e conscia del potere di rivalsa sociale e razziale di cui era latrice.
   La barocca rete neurosinaptica di suoni che innesca un erotico e orgastico meccanismo di ricezione di sensazioni, si pone in essere grazie agli arrangiamenti ed alla loro capacità elastica di risorse che concedono all'inventiva, la quale diventa manieristica quando Piccirilli decide di superarsi con le sue proprietà di assoluta padronanza cheirotecnica di chitarra acustica e meglio elettrica con gli inevitabili ed intenzionali shows di distorsioni, di tale destrezza che, proporzionata al suo genio compositivo ed a certe analogìe di impressionante e casuale coincidenza di ispirazione, ne fanno una sorta di George Benson del Mediterraneo.   

Oltre che ad una toccante e splendida Messa in re maggiore per coro ed orchestra e a La giara - musica per l'omonima opera di Luigi Pirandello rappresentata da una compagnia teatrale - due al momento sono gli album dati al varo che possono essere considerati capolavoro in questo concilio di generi del Piccirilli. Due autentici gioielli che portano il titolo di Lapislazzuli il primo, il secondo Passe-partout.

   Nove sono i brani contenuti in Lapislazzuli: si esordisce con Amori a Roma sotto le note di uno slow-swing che si attorciglia al piacere del gusto, e il richiamo alla città eterna, di cui l'autore è intimamente e personalmente innamorato, non tradisce alcun patriottismo che, tra l'altro, è assente tanto nel cosmopolitismo del pensiero dell'autore, quanto nel suo sound, nel quale ultimo non si intravede  pressoché nulla della tradizione musicale italiana. Con il secondo brano GTT, per esteso Grande Tina Turner, un graduale e avanzante gioco di ritmo miscelato ad un cocktail di tastiere e chitarra elettrica, il rock dolce e melodico ci richiama a paesaggi bensoniani per intenderci ed al fascino soul latino-americano che rende impossibile resistere ad uno spontaneo conato di danza. Dopo il terzo brano, Impressioni, veri e propri esercizi stilistici ed estetici di scuola, ed il quarto, Plenilunio, segue (5) Piccola Evasione, nella quale ciascuno può concedersi un relax a sfondo individuale. Meritevole di attenzione di estimo artistico è il brano (6) Lucia, in omaggio al nome della sua compagna, un jazz-waltz che si attiene ad un articolato e non semplice tempo di 3/4 vincolato a sua volta ad una escalation emotiva dei mezzi toni di uno stile cioè che caratterizza e pervade la gran parte del corredo cromosomico e genotipo della produzione piccirilliana. Con Novembre si toccano i toni lirico-elegiaci di un mese che notoriamente suggerisce un crepuscolo, anche se momentaneo, della vitalità della natura e dell'esistenza. Mediterraneo impone una performance al pianoforte accompagnata dalla base strumentale, e la mente corre ad immagini di porti di città come Palermo ed ai bazar di Tunisi con il loro policromo e caotico tran-tran di gente e di traffici spesso clandestini, se la fantasia non adisce la chance di addentrarsi al brulichio caraibico di nuclei urbani e di favelas honduregni e giamaicani ed agli scenari di solarità tropicale, di natura selvaggia e delle sue fotosintesi clorofilliane.
   I dialoghi che una mente può tracciare nel labirinto dei suoi meandri, quando interpreta il ruolo di domanda e risposta a cui molteplici personaggi danno alito e vita, non possono che sintetizzarsi meglio che in Soliloquio. E Soliloquio è l'entusiasmante sinfonia di pianoforte, basso, chitarra, percussioni e tastiere elettroniche, sui quali strumenti luccicano voce e chitarra all'unisono, in un'estasi di ritmo che rende tangibile l'esperienza upanishadica del nirvana.

   La collezione Passe-partout si apre con Preambolo, un prologo vero e proprio di esibizione di alta classe di scale con chitarra che prefigura la sostanza dell'intero prodotto. Il top della collana e forse (quantunque ci farebbe piacere una maturazione continua e progressiva per l'artista) dell' intero repertorio del Piccirilli, è ineccepibilmente Una notte all'inferno. Piccirilli si è inventato un accesso, con la magia stavolta anche sinistra dei suoni nei percorsi dell'indagine umana e nelle residenze magmatiche dell'inconscio che si fà inferno, ma di emozioni stroposcopiche per il convulso succedersi delle scale nervose di note e delle atmosfere rock di autentica ispirazione britannica, di quelle trasformate in epica ad esempio da Alan Parson. Si consiglia per un commento sonoro a immagini sceniche cinematografiche in films di azione.
   In Come si parla a una donna il consiglio dell'autore è, tanto per cambiare, con la musica, far parlare un sax, l'azione diretta di giocare sul tasto dichiaratamente passionale e sentimentale, con l'unico linguaggio umano infallibile e più intellegibile dello charme, dei sensi e di quant'altro.
   Dopo il brano (4) Little blues che si commenta con il titolo, e (5) lo scherzoso Sberleffo, tornano le suggestioni di paradisi equatoriali latini di Enamorada, i mai sopiti singhiozzi erotici dai ritmi rockeggianti mixati al sound afro-cubano che tracciano continuità con la già accennata Mediterraneo dell'album Lapislazzuli.
   L'antropologia culturale potrebbe educerci in maniera didattica perfetta se si imbastisse un'interpretazione di Fool, il settimo brano. La figura beffarda e cosmogonica dei demiurghi modellatori dell'universo, in particolare del demiurgo-tricker, collaboratore e rivale di divinità che presiedono alla creazione, secondo la visione di religioni come lo zoroastrismo, lo gnosticismo armeno-medioasiatico o le credenze etnologiche polinesiane e degli indiani pellerossa nord-americani, è reso in modo superlativo dal Piccirilli con un tempo di battuta di 5/4 e con la consueta prosa lirica degli arrangiamenti.
   L'epilogo è in Passo (8), una spettacolare mute-trumpet che costituisce un arabesco nella raccolta, tra i virtuosismi di una sequenza di ouverture - escalation - pausa - ripresa che non prefigura veramente confini.

   Fuori dalle raccolte, è il caso di menzionare il brano Equinozio, nel quale giorno e notte si contendono a pari merito la Signoria e la competenza stessa dell'autore sui diversi strumenti. Notevole è il rilievo della tastiera che traduce la gioiosità delle ore meridiane ed il basso con l'inserimento del vibrare delle chitarre ex-abrupto, che scandisce l'incedere nel mistero della notte.

Luca di Ruzza



Luca Di Ruzza è giornalista e scrittore. Collabora con Testate Giornalistiche Laziali  e famosa è la sua pubblicazione Fiabe Ciociare - Ed. Printhouse presente anche sul sito www.ciociari.com


   

 

 
L'OPINIONE DI Ugo De Santis sulla
"Messa in re maggiore"
 
 
    La composizione dell'opera per 4 voci miste con accompagnamento di orchestra, su testo in lingua italiana, comprendente anche il "Padre nostro", risponde con estrema coerenza al tema che è sviluppato in maniera sublime.
    E' evidenziata la sensibilità dell'autore, la meditata sofferenza creativa e l'incanto di un'armonia toccante e melodiosa che stimola l'anima a pensieri aulici.
    Lo stile è quello dei grandi del passato, da Claudio Monteverdi - Cremona 1567 - Venezia 1643 - il cui genere compositivo è specifico nell'arte madrigalistica e in quella operistica, a Tommaso Albinoni - Venezia 1671 - 1750 -, specialista del tardo barocco musicale.
    La linea melodica della "Messa in re maggiore" di questo giovane compositore è fluida; e magnifica è la vivacità del tessuto orchestrale.
    Da chi ha attinto il Piccirilli la vena così prolifica e scorrevole, per la composizione di musica così eccelsa? Sicuramente dal suo animo romantico che lo eleva al di sopra delle convenzioni sociali portandolo nell'empireo dove la musica è preghiera; sicuramente nella quiete incantevole del suo borgo, all'ombra del suo grande conterraneo Tommaso D'Aquino.
    Le note struggenti di alcuni passi della "Messa in re maggiore" ci commuovono e ci portano a concepire la vita sotto gli aspetti spirituali che inducono a procedere lungo i sentieri che dalla terra hanno il loro termine in cielo dove l'armonia esalta la gloria di Dio.
 
Macchia di Pofi
6 novembre del 2000
Ugo De Santis
 
 
Ugo De Santis, scrittore e poeta, è scomparso il 6 ottobre 2002. Tra le sue opere citiamo la raccolta di poesie Fiori di campo per Lampedusa.